The Beach Boys - Recensione

La band che celebrava il surf ma non sapeva cavalcare le onde.

The Beach Boys – La recensione

L’ultimo documentario di una lunga serie sui The Beach Boys inizia con un fermo immagine della band americana ai suoi esordi, probabilmente durante l’incisione di Surfin’ U.S.A.; una precisa dichiarazione d’intenti, perché il nuovo film di Frank Marshall e Thom Zimny contiene centinaia di testimonianze fotografiche che formano un autentico album di famiglia, non certo per mancanza di materiale video sui tre fratelli Wilson, il cugino Mike Love o il loro vicino di casa Al Jardine, cioè i membri fondatori del celebre gruppo pop: proprio come i The Beatles, anche i ragazzi di Hawthorne avevano già compreso negli anni ’60 quanto fosse importante sostanziare la propria musica con un sfondo tangibile e immaginifico, legato inizialmente alla moda del surf rock ma solo per semplici questioni di marketing. Fatta eccezione per Dennis Wilson, infatti, nessuno dei cinque musicisti sapeva destreggiarsi veramente sulle onde dell’Oceano Pacifico, e il sogno californiano evocato ossessivamente nelle loro prime canzoni nascondeva una malinconia di fondo destinata ben presto a emergere in superficie.

Quando i cinque ragazzi di Hawthorne si radunavano nel soggiorno di casa Wilson, per cantare seguendo Brian al pianoforte...

Now and then a tear rolls off my cheek

Il rapido declino commerciale della band sul finire dei Sessanta coincise infatti con l’esplosione della controcultura che rese i The Beach Boys un fenomeno datato a livello di ispirazione e rilevanza sociale, ma scaturì pure dall’incredibile evoluzione artistica del songwriter Brian Wilson, divenuto improvvisamente incompatibile con il posizionamento radio-friendly del gruppo o con le aspettative mainstream di Columbia Records; al perfezionamento musicale, seguì però anche il rapido deterioramento psicofisico del ragazzo, il suo abuso di droghe psichedeliche e uno stato di semireclusione durato oltre dieci anni: le canzoni si tinsero di venature nostalgiche e introspettive dietro l’apparente levità dei toni, i testi iniziarono ad evocare orizzonti immaginifici lontanissimi dalle spiagge idilliache della California, mentre la complessità inarrivabile degli arrangiamenti formava un labirinto sonoro nel quale era facile smarrirsi. Il grande pubblico rifiutò un capolavoro come Pet Sounds, e così il progetto seguente (l'ambiziosissimo Smile) fu abbandonato in corso d'opera dal giovane autore, poi auto-relegatosi a un ruolo secondario negli album del decennio successivo.

Quando i fratelli minori presero le redini del gruppo, esso era diventato principalmente una "oldies band" focalizzata sulla performance live delle vecchie hit; il pubblico rispose positivamente ma una lunga serie di tragedie rimaneva ancora in agguato dietro le maschere sorridenti della formazione americana: le violente ingerenze del padre ex manager, i rapporti ambigui di Dennis con la family di Chales Manson, la sua tragica morte per affogamento dopo una lunga storia di alcolismo, la causa legale di Mike contro Brian – finito nel frattempo vittima di uno psichiatra senza scrupoli - e infine il cancro ai polmoni che stroncò Carl Wilson sul finire degli anni ’90, disegnarono un ritratto di famiglia fin troppo lontano dallo storytelling edulcorato di quei ragazzi ormai pieni di rughe. E benché il documentario di Marshall e Zimny non tralasci quasi nessuna di queste pagine, il desiderio di restituire un lieto fine alla dimensione familiare dei The Beach Boys si evince tanto dal finale un po' retorico (dove i membri superstiti s’incontrano per un ultimo picnic sulla spiaggia), quanto da un montaggio edificante in cui tutti i capitoli più drammatici del racconto sembrano solo brevi parentesi.

Brian Wilson diventerà presto il produttore (oltre che principale songwriter) della band, imponendo un sound leggendario.

Surf’s up

Attraverso una miscela calibrata di foto d’epoca, alcune storiche apparizioni in TV, concerti usciti direttamente dall’archivio del gruppo ma soprattutto con l’ausilio di innumerevoli interviste vecchie e nuove, il film costruisce un arco drammaturgico scolpito nella roccia senza nemmeno l’intervento di una voce fuori campo, aggiungendo poco o nulla alle biografie dei componenti sul piano dell’analisi fenomenologica, musicale, umana. Dopo un inizio non privo di qualche soluzione briosa, la sceneggiatura imbocca insomma il canovaccio tipico di tanti documentari televisivi dedicati alle celebrità, dove i protagonisti risultano praticamente intercambiabili e il racconto assume una valenza soltanto divulgativa: nessuna domanda aperta, niente digressioni “ipertestuali”, neppure troppa musica sul piatto, qui troviamo semplicemente "il Bignami" dei The Beach Boys impacchettato per chi ha poca familiarità con i “ragazzi della spiaggia”, e vorrebbe saperne giusto un po’ di più. Non si intravede neanche quello sforzo introspettivo che Thom Zimny ha messo nei suoi precedenti lavori su Bruce Springsteen, per scavare dentro il personaggio cogliendone le motivazioni e i principi ispiratori. Peccato, perché l'album di famiglia dei fratelli Wilson meriterebbe di essere approfondito oltre l'apparente linearità di queste storie (proprio come le loro canzoni), mostrando il vero volto di una band incapace di cavalcare l'onda del successo.

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Verdetto

La storia dei fratelli Wilson, di Mike Love e di Al Jardine somiglia moltissimo ai loro migliori brani: armoniosa solo in superficie, come il sogno californiano evocato artificiosamente dai primi album della band, ma surreale e malinconica dietro ogni apparenza, tanto quanto gli arrangiamenti "progressive" di Pet Sounds rispetto al sound degli esordi. Dopo un inizio promettete, il documentario di Frank Marshall e Thom Zimny si limita a ricostruire gli anni ruggenti del gruppo col solito impianto televisivo che alterna pigramente materiali d’archivio e interviste frontali, senza tuttavia catturare l’importanza del fenomeno, aggiungere nuove chiavi di lettura o mostrare il vero volto dei The Beach Boys oltre quell'immagine ingannevole di (finti) surfisti.

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The Beach Boys – La recensione

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Sufficiente
Un documentario "fatto con lo stampo" e semplicemente divulgativo, dedicato a un fenomeno straordinario sotto tanti punti di vista.
The Beach Boys