Road House - Recensione

Jake Gyllenhaal eredita il ruolo di Patrick Swayze nel remake di un successo inaspettato degli anni '80.

Road House - La recensione

Fa un certo effetto vedere una star del calibro di Jake Gyllenhaal impegnata in una produzione "minore" come Road House, cui MGM (finita da qualche anno sotto le insegne di Amazon Studios) non ha concesso nemmeno un breve passaggio nelle sale americane o internazionali, riservandogli invece solo la vetrina di Prime Video; l’interprete di Donnie Darko si trova comunque in buona compagnia, perché neppure il regista-produttore del film è esattamente uno qualsiasi: Doug Liman ha diretto in passato The Bourne Identity, Mr & Mrs. Smith, Jumper e Edge of Tomorrow, tutte operazioni fortunatissime al botteghino nonostante la qualità altalenante.

Il suo ultimo lavoro segna peraltro anche il debutto cinematografico del campione di MMA Conor McGregor, che già da solo potrebbe rappresentare un’attrattiva notevole per qualcuno. E allora, cos’è andato storto, esattamente?

Nonostante non sia più un giovincello, Jake Gyllenhaal sfoggia una forma fisica notevole.

Neon demon

In realtà, Road House è un’opera minore solo negli esiti, perché si tratta pur sempre del remake di un grande successo – per quanto abbastanza inaspettato – uscito nel 1989, all'epoca capace di guadagnarsi tutte le peggiori nomination ai Razzie Awards ma anche di sbancare i cinema e poi la TV via cavo, dove divenne un piccolo cult sulla scia della popolarità di Patrick Swayze.

Una produzione per la verità abbastanza "scema", di quelle che però negli anni ’80 avevano l’alibi dell’ingenuità e trovavano persino una qualche giustificazione sociologica: l’innocenza della provincia americana fagocitata dal potere economico, una generazione di giovani priva di valori dopo la sbornia idealista del decennio precedente, il distinguo tra la violenza "necessaria" del giustiziere e quella smaccatamente predatoria del villain.

Benché combatta bene e abbia già interpretato ruoli più leggeri, Jake Gyllenahaal sembra un po' un pesce fuor d'acqua in un film così.

L’ultimo lavoro di Doug Liman eredita tutti gli ingredienti dell’originale ma li innesta in una cornice più solare, adolescenziale e leggera, anche se la discreta quantità di parolacce unita all’efferatezza dei combattimenti - peraltro molto artefatti, nonostante la presenza nel cast di un lottatore vero – ne ha determinato un rating inevitabilmente maturo; il film non recupera invece quella ruvidezza "notturna" del corrispettivo anni '80, di cui purtroppo si trova traccia soltanto nel prologo in stile Fight Club.

Il soggetto strizza l’occhio in maniera abbastanza didascalica pure a certi archetipi del cinema western, dove il tipico antieroe dalla moralità ambigua si guadagna il pieno riconoscimento della comunità sfidando i gangster locali: qui in realtà i nemici coincidono più o meno con l’intera popolazione di Glass Key, fatta eccezione ovviamente per i dipendenti del bar Road House, un famigliola di afroamericani umili ma generosi come impone il cliché, e la figlia dello sceriffo senza scrupoli.

Giustizia fai da te

Il "cowboy" della situazione si chiama Elwood Dalton, ex pugile UFC ossessionato dai ricordi del suo ultimo match e costretto a fare i conti con un’inspiegabile sete di violenza, solo apparentemente sopita prima di incontrare la banda di Brandt.

E malgrado debba fronteggiare senza troppi alleati un esercito pieno di energumeni, ci si sente sempre perfettamente al sicuro ogni qual volta Gyllenhaal entra in campo: il pathos dei combattimenti rasenta lo zero assoluto, perché tutto l’arco narrativo si basa sulla premessa che il nostro beniamino sia una macchina da guerra invincibile, anche quando incontra un rivale fuori di testa come Knox (Conor McGregor, carismatico e perfettamente a proprio agio in un ruolo così iperbolico).

Nonostante la pericolosità del rivale, la vera sfida di Dalton risiede nella lotta per tenere a bada i suoi stessi demoni, cui il trio di sceneggiatori ha dedicato però una parabola superficiale e ambigua: gli eccessi di violenza rischiano di apparire infatti semplicemente gratuiti o autocompiaciuti, e Liman non fa nulla per provare ad aggiornare la riflessione sulla figura del "giustiziere", senza scadere nella caricatura.

L'esordio cinematografico di Conor McGragor nei panni del villain è in assoluto la cosa più azzeccata del film.

Tanto varrebbe allora spegnere il cervello e godersi due ore di "corografie" esagerate, se il film fosse davvero capace di regalare qualche intuizione a livello stilistico; invece, la confezione televisiva e l’abuso di effetti speciali rendono le scene d’azione un po' troppo plasticose, mentre il sottotesto (irrisolto, nonostante Gyllenhaal ce la metta tutta) sui tormenti del protagonista impedisce di prendere con leggerezza quel poco che c’è, ovvero una spensierata "americanata" – passatemi il termine, datato quanto Road House – adatta a una serata di relax per le cellule cerebrali.

Road House è disponibile su Prime Video.

Verdetto

Anziché cercare di aggiornare l’originale, modernizzando la figura del giustiziere che interviene quando la polizia è corrotta e il potere economico opprime i più deboli, Doug Liman ha recuperato soprattutto la leggerezza del vecchio Road House (quello del 1989 con Patrick Swayze), spogliandolo della sua ingenuità ma anche di quell'estetica un po’ sporca dietro le lucine al neon. Resta una lunga sequenza di scazzottate poco interessanti e troppo ricche di effetti speciali per capitalizzare davvero il coinvolgimento di Conor McGregor – comunque ammirevole all’esordio da attore – sullo sfondo di una parabola irrisolta cui Jake Gyllenhaal si sforza inutilmente di dare sostanza, incappando però in un personaggio pieno di ambiguità. L’assenza di implicazioni andrebbe pure bene se almeno le "coreografie" dei duelli fossero avvincenti quanto un match di MMA; invece, l’invincibilità del protagonista contraddice il principio stesso di un buon combattimento, cioè l’incertezza dell’esito.

In questo articolo

Road House

21 Marzo 2024

Road House - La recensione

4.5
Brutto
Funziona bene solo se lasciate il televisore accesso "in sottofondo" mentre fate altro, buttando l’occhio occasionalmente su una scazzottata o una barca che esplode.
Road House