La crisi del clima

Capanna Margherita, vedere la crisi del clima dal rifugio più alto d'Europa

Studiando Capanna Margherita, il rifugio più alto d’Europa, Politecnico di Milano e Cai vogliono salvare quelli più a valle dalla crisi climatica, rendendoli anche più sostenibili
I lavori nel cantiere più alto d'Europa a Capanna Margherita
I lavori nel cantiere più alto d'Europa, a Capanna MargheritaPolitecnico di Milano

Alagna Valsesia - Vedere la crisi del clima da Capanna Margherita, il rifugio più alto d'Europa. In 10 giorni, a 4.554 metri di altezza, abbiamo scavato nella pietra mista a ghiaccio un foro verticale da 20 metri e uno orizzontale da 10, con due compressori da 700 chili l’uno, carburante compreso, e una squadra di una decina di esperti, ben abituati alla quota. Era settembre 2023, ma quello di Capanna Margherita resta tuttora il cantiere più alto di Europa. È stato realizzato per il Club Alpino italiano dal Dipartimento Abc (Architecture built environment and construction engineering) del Politecnico di Milano e non per la mera ambizione di battere un record. E nemmeno tanto per capire se a questo antico rifugio inaugurato dalla regina Margherita nel 1893 rischia di crollare la “terra” sotto i piedi.

Immerso nell’aria fine delle cime del massiccio del Monte Rosa, molto probabilmente se la caverà meglio di altri, infatti. I primi dati sulla stabilità della roccia su cui poggia sono confortanti. E allora perché questa acrobatica impresa?

Grado dopo grado, sale il permafrost e il rischio

Capanna Margherita è il primo banco di prova per vedere come riscaldamento globale e crisi climatica minano la stabilità dell'ammasso roccioso su cui poggiano tutti i rifugi italiani, soprattutto quelli a quote più basse e più “pericolose”, tra i 3.000 e i 3.500 metri. È in questa fascia, infatti, che il rischio di rotture e crolli è reale e in crescita, grado dopo grado, 150-200 metri alla volta: il ritmo con cui sta salendo di quota la linea inferiore del permafrost (terreno permanentemente ghiacciato tipico delle regioni artiche e alpine), per via di temperature sempre più elevate.

A questa quota possiamo meglio cogliere i segnali di ciò che presto avverrà più a valle e sviluppare prima un paradigma di valutazione del rischio e delle linee di intervento e di monitoraggio standardizzate, applicabili alle quote dove i rifugi sono tanti e realmente a rischio” spiega Francesco Calvetti, coordinatore del corso di studi in Ingegneria civile per la mitigazione del Rischio del Politecnico di Milano e co-responsabile di questo studio Cai.

Quelle fatte al Margherita sono misure puntuali e dettagliate, preziose, ma anche troppo costose e complesse per essere replicate in tutti i rifugi che si devono accontentare dei dati satellitari, più “economici” e su grande scala. Integrando entrambe le tipologie di misurazioni, questo progetto di ricerca ne mette in luce dinamiche e connessioni utili per capire come meglio interpretare i dati satellitari, quando si hanno solo quelli. Vista l’unicità della sfida, vinta, realizzando un cantiere così in alto, si sta sfruttando l’esperienza di Capanna Margherita anche per capire anche cosa val la pena di misurare davvero lassù, se mai si ripeteranno simili imprese a simili altezze.

I primi segreti di Capanna Margherita

Inserendo una sonda nei fori realizzati, i ricercatori stanno realizzando una sorta di tomografia per valutare le condizioni della roccia e individuare strati, geometrie ed eventuali fessure o inserti di ghiaccio. Da settembre 2023 stanno anche misurando regolarmente la temperatura della roccia e la pressione di eventuali “chiazze di acqua” a ogni metro, per tutta la lunghezza di entrambi i fori, con una colonna di misura dotata di accelerometro, estensimetro e inclinometro. Il primo rileva le rotture, gli altri due le deformazioni e gli spostamenti.

Più che i valori assoluti, ci interessa l’evoluzione della situazione” spiega Calvetti spingendosi a rivelare già ora alcune delle scoperte fatte studiando Capanna Margherita, confermandone il ruolo di rifugio “guida” per la lotta contro la crisi climatica.

La deformazione della roccia sembra dipendere dalle temperature rilevate a circa 15 metri di profondità e che evolvono con 3 mesi di ritardo rispetto a quelle in superficie, con differenze anche di 10 gradi. Questo  spiegherebbe i molti crolli in periodi apparentemente anomali: nella roccia, il picco di caldo è a inizio novembre, infatti”. Di fratture profonde o deformazioni evidenti, in profondità, Calvetti ammette di non averne per ora rilevate. Un sollievo, visto che “un materiale non omogeneo come la roccia rischierebbe più facilmente di sgretolarsi, soprattutto in presenza di ghiaccio spiega. Capanna Margherita e questo rischioso fenomeno resteranno comunque monitorati, almeno fino al 2026, anche se il vero orizzonte del progetto è oltre. Oltre la sua scadenza “da calendario”, ma soprattutto oltre i confini italiani.

Per sbloccare la potenza di questa ricerca, la vera svolta sarebbe poterla estendere a tutta l’Europa per avere la quantità di dati necessaria a sfruttare l’intelligenza artificiale - spiega Calvetti con voce sognante e allo stesso tempo confidente - La casistica dei rifugi è molto varia, ma con un database più ampio si riuscirebbero a individuare approcci, soluzioni e linee guida sempre replicabili ma molto più dettagliate, e ‘personalizzate’”

Rifugi più green

Questa dimensione europea sarebbe funzionale anche al lavoro “più architettonico” parallelamente svolto dal suo compagno di progetto, Graziano Salvalai, responsabile del team per l'efficienza energetica degli edifici del dipartimento di Architettura, Ambiente Costruito e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano.

Anche in questo caso, Capanna Margherita presta la sua prospettiva unica e preferenziale per studiare best practices di riqualificazione e valorizzazione in chiave di sostenibilità per tutti i rifugi italiani. Salvalai ci lavora fin dal 2018: negli anni ne ha analizzato lo stato di fatto consegnando nel 2020 un documento decisionale con serie di attività migliorative dal punto di vista sia  tecnologico, che di sostenibilità e sicurezza e comfort interno.

Ora, anche grazie a un dottorato di ricerca, stiamo collaborando allo sviluppo di linee guida per valutare il livello di sostenibilità delle strutture alpine su vari livelli: gestione dei rifiuti e delle acque reflue, efficienza energetica, approvvigionamento di materiale e sicurezza”, spiega.

Entro un anno e mezzo, si vuole consegnare un vero e proprio protocollo di sostenibilità ambientale. Ne esiste già una bozza, ma da fine estate il team di Salvalai  vuole testarla in almeno 13 rifugi di varie tipologie, distribuiti su tutto territorio nazionale, per verificare se “la teoria del rifugio green” è compatibile con la pratica. “I rifugi hanno forma, dimensioni e contesti molto diversi - spiega -  saranno comunque misure da personalizzare di volta in volta”. Esistono però dei punti deboli comuni che, “fuori microfono” emergono dalle prime osservazioni e dalla esperienza maturata sul campo, e sulle cime. Riguardano soprattutto l’energia - ottenuta dal gasolio invece che dal sole -, la sicurezza - di accesso e di permanenza -  la gestione delle acque reflue e delle folle.

Tra gennaio e dicembre 2023 sono stati oltre 25 milioni gli arrivi turistici nelle strutture ricettive alpine italiane: +5,5% rispetto al 2022 (dati Ente nazionale turismo italiano - Enit). Il boom di appassionati “alpinisti di primo pelo” registrato nel periodo post-Covid non è mai rientrato, soprattutto in alcune zone delle Alpi si assiste quindi a un overtourism d’alta quota difficile da gestire. È una “folla” ancora da sensibilizzare, mentre si rinnova il parco rifugi, come da sensibilizzare sarebbero anche gli stessi rifugisti, non sempre consapevoli del ruolo cruciale che possono (e dovrebbero) avere nella valorizzazione della montagna, del turismo e del proprio rifugio. Anche se ben sotto i 4.000 metri, non lo devono sottovalutare.