One Piece (Netflix) - Recensione

"Io diventerò il re dei cosplayer!"

One Piece - La recensione - One Piece (Netflix)

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Owens e Maeda scelgono di restare fedeli all’opera di riferimento nonostante le differenze linguistiche, finendo per scivolare nel cosplay.
  • Il lavoro sulla sceneggiatura non è male, e tutto sommato permette allo spirito del manga di sopravvivere ai limiti dell’operazione.
  • Nonostante la passione (o, forse, in virtù di questa), nel "disegnare" il suo Luffy Iñaki Godoy scivola fuori dai bordi.

Nel giornalismo sportivo il termine "garra" si usa per indicare grinta e spirito combattivo. Ecco, per quanto mi riguarda One Piece è garra pura, con i suoi protagonisti sospesi tra western e chambara sempre pronti a ghignare di fronte ai pericoli, soprattutto se mortali, e a sacrificarsi per i propri compagni.

Niente di nuovo in senso assoluto, soprattutto se pensiamo al giro degli shōnen, i manga per ragazzi da sempre pieni zeppi di personaggi invincibili; tuttavia Eiichirō Oda è riuscito a distillare perfettamente la formula superando molti tra i suoi colleghi più illustri e confezionando una saga che a oggi, con ben 1091 capitoli all’attivo, una serie animata e una quindicina di film, rappresenta un indiscusso successo mondiale.

Personalmente mi sono avvicinato a One Piece attraverso l’anime passato a suo tempo su Italia 1, cascando immediatamente nelle avventure del giovane pirata Monkey D. Luffy e della sua ciurma; avventure che come molti non ho ancora mollato grazie all’abilità, da parte di Oda, di arginare la ripetitività tipica del genere attraverso un worldbuilding prodigioso spesso imitato, ma mai eguagliato, personaggi pieni di vita e una distribuzione della mitologia calcolata al millimetro.

Sempre nel corso degli anni il mangaka ha raffinato il proprio originalissimo stile senza tradirne la vena folle e barocca, e oggi più che mai le scorribande della ciurma di Cappello di paglia restano un piacere da leggere e da guardare.

Pare che Oda si sia avvicinato alle storie di mare attraverso la serie animata Vicky il vichingo, a sua volta ispirata ai libri dello svedese Runer Jonsson.

A fronte di un successo del genere l’arrivo di una produzione live action era altamente prevedibile, ma diversamente da altri manga con sbocchi simili consumati in patria (vedi Gantz, Kenshin - Samurai vagabondo o Le bizzarre avventure di JoJo, giusto per citarne tre a caso), questa volta la palla è stata colta al balzo da Netflix che, esattamente come nel caso di Cowboy Bebop (Voto: 4.9 - Recensione), ha puntato su una produzione e un cast internazionali attirando l’attenzione dei fan, ma anche esponendosi a qualche rischio, considerato oltretutto l’insuccesso della serie precedente.

Un progetto da maneggiare con i guanti

Operazioni del genere sono sempre complesse in quanto tocca azzeccare il giusto equilibrio tra fedeltà verso l’opera di riferimento, scelte artistiche originali e il linguaggio del medium "ricevente", con tutte le opportunità e i vincoli del caso; in Giappone, dove gusti e sensibilità sono diversi da quelli occidentali, si tende molto spesso a riproporre pari pari al cinema o in TV trama e stile del manga/anime/videogioco di turno, come dimostrano gli adattamenti diretti da Takashi - "non ho paura né vergogna di niente" - Miike - mentre negli Stati Uniti tendono a viaggiare nella direzione opposta.

Luffy festeggia assieme ai membri della sua ciurma.

Nello specifico della serie live action dedicata a One Piece prodotta da Tomorrow Studios in concerto con Netflix, e disponibile da oggi sulla piattaforma di streaming, la via intrapresa sembra molto chiara, e per riassumerla basta una dichiarazione dello stesso Oda: "Non ci sono stati compromessi".

Dimostrando una sincera passione nei confronti dell’opera di riferimento gli showrunner Matt Owens e Steve Maeda hanno puntato su un adattamento decisamente fedele (che non significa riuscito, attenzione), spesso ricostruendo le medesime inquadrature del manga o riproponendone costumi, dialoghi e situazioni; la trama comprime la saga dell’East Blue in otto puntate da un’ora ciascuna ripercorrendone buone parte degli archi narrativi, dalla partenza di Luffy fino allo scontro con Arlong, ricorrendo occasionalmente - e inevitabilmente - a un po’ di taglia e cuci, adoperando il montaggio per distribuire organicamente i vari flashback e riempiendo qualche non detto. Anche in questo caso l’aderenza con manga e anime è molto forte, mentre le licenze mi sono parse quasi sempre appropriate nell’ottica del nuovo formato; in effetti la scrittura resta forse la cosa migliore della serie nonostante un po’ di fiacca durante le puntate centrali ambientate nel villaggio di Usop, e la volata verso Arlong Park che riduce l’intensità di alcuni momenti chiave.

Non i soliti nakama

E la garra? Beh, quella a tratti è arrivata, anche se ragionare sulla provenienza delle emozioni non è facile col manga per la testa; di contro, purtroppo nell’operazione c’è anche parecchia, troppa roba che non funziona, a cominciare dal protagonista interpretato dal giovane Iñaki Godoy. A dispetto dalle apparenze Luffy non è affatto un tizio banale, e per azzeccarlo tocca imbarcare parecchi registri: leggerezza e ingenuità, ma anche autorevolezza, rigore e un pizzico di follia; Godoy ce la mette tutta e ha la faccia giusta, bisogna dargliene atto, tuttavia tende quasi sempre a recitare sopra le righe, riuscendo eccessivo persino in un contesto tanto sparato.

Ogni volta che nella serie Luffy proclamava l’intenzione di diventare Re dei Pirati mi veniva la pelle d’oca, ma per le ragioni sbagliate (e pure col doppiaggio giapponese).

Le cose vanno un po’ meglio col resto della ciurma: Mackenyu, Jacob Romero e Taz Skylar, rispettivamente nei panni di Zoro, Usop e Sanji, non sono così male, mentre la Nami di Emily Rudd, un filo più ruvida di quella originale, mi è parsa azzeccata; tutto abbastanza in bolla anche lato Marina: Vincent Regan piazza un buon Garp, mentre Morgan Davies nei panni di Koby è forse il migliore del mazzo. Per quanto riguarda infine gli avversari, boh, francamente non sono rimasto colpito da nessuno in particolare, trovandoli spesso al di sotto della sufficienza, o perlomeno della mia soglia di tolleranza.

E già che parliamo di tolleranza, non sono andato affatto d’accordo con la messa in scena, il vero elefante nella stanza di un’esperienza complessivamente stranissima; il team di registi composto da Marc Jobst, Tim Southam, Emma Sullivan e Josef Kubota Wladyka da una parte tenta di sdoganare lo stile artificioso degli adattamenti giapponesi, dall’altra non sfugge all’estetica pulitina e asettica delle ultime produzioni targate Netflix, che oltretutto mette in risalto il lato "camp" di scenografie, costumi, trucco, ed effetti visivi, eccessivi persino rispetto allo stile non esattamente sobrio di Oda. Aggiungiamo al sacchetto delle grane una gestione dell’azione spesso incerta (ma nemmeno tutta da buttare, a essere onesti) e un gusto per le composizioni scolastico nonostante gli evidenti tentativi di infilare continuamente l’iperbole.

Perlomeno ci sono i lumacofoni.

Sono un sacco di "nonono", mi rendo conto. Ciononostante, pur nuotando al di sotto della sufficienza questo One Piece in versione live action mi ha fatto simpatia, e in generale gira complessivamente meglio del disastroso Cowboy Bebop: un po’ per il taglio folle del manga, che rende meno sballate certe soluzioni visive, un po’ perché storia, personaggi e contesto alla base dell’adattamento restano interessanti, e per scassarli del tutto un po’ di cosplay non basta.

One Piece è disponibile su Netflix.

Verdetto

Che seccatura: da una parte non è il massimo liquidare con l’insufficienza una serie come questa, che denuncia vero amore nei confronti del manga di Eiichirō Oda e non ha paura di mettersi in ridicolo; dall’altra certe soluzioni possono sopravvivere giusto negli adattamenti giapponesi guidati da uno come Takashi Miike, mentre qui, pucciate nell’estetica asettica di Netflix, finiscono per mettere in luce tutti i loro problemi senza guadagnarci granché. Oltretutto il cast non è esattamente stellare, il protagonista viaggia fin troppo al di sopra delle righe e la messa in scena da compitino impedisce al racconto di sfogarsi a dovere: peccato!

In questo articolo

One Piece (Netflix)

31 Agosto 2023

One Piece - La recensione

5.5
Mediocre
Spiace calpestare il cuoricino di autori e cast, anche perché ne hanno messo in ballo parecchio, ma l'adattamento live-action di One Piece non riesce a raggiungere la sufficienza.
One Piece (Netflix)