Call of Duty: Black Ops II - Recensione

Torna la serie multimilionaria di Activision, che noi aspettavamo al varco.

Quando si avvicina novembre, e con esso il momento di scrivere del nuovo Call of Duty, mi viene sempre da chiedermi se sarà questa la volta che deciderò di averne avuto abbastanza, di questa serie di FPS bellici. Del resto, ho giocato più o meno approfonditamente a tutti gli episodi usciti finora, a parte Call of Duty III,  e solo perché uscì solo su console, mentre al tempo ero un fermo sostenitore della superiorità degli sparatutto in soggettiva su PC (lo sono ancora, ma confesso che adesso riesco a divertirmi anche su console).

Per un motivo o per l’altro, finora Call of Duty non ha mai tradito le attese mie e di moltissimi altri appassionati, anche se, sia in multi che in soprattutto single player, le innovazioni proposte non sono mai state sostanziali. L’industria dei videogiochi sta diventando sempre più avversa al rischio e, con Call of Duty, Activision ha adottato fermamente il principio di “formula che vince non si cambia” (mentre la squadra di sviluppo è cambiata abbondantemente nel corso degli anni). Come dar loro torto, del resto? I fan sono contenti, gli investitori pure e le casse di Activision sono gonfie di dollari.

Coadiuvata da una marea di altri studi di supporto, tra i quali figurano nomi come Raven, Beachhead e molti altri, è toccato a Treyarch portare sui nostri schermi il nuovo episodio, Black Ops II, che continua la linea narrativa iniziata due anni fa e ci raccontò le vicende di Alex Mason, invischiato in una storia di spionaggio e guerra fredda. Confesso che trovai il primo Black Ops poco appassionante dal punto di vista narrativo, mentre l’ambientazione e le armi mi piacquero molto. Con questo seguito, Treyarch ci racconta cosa combinò Alex Mason a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80, insieme al suo compagno Woods, e di come quegli eventi influenzino la vita di suo figlio David, alle prese con il terrorista Raul Menendez.

Come da tradizione della serie, la storia è raccontata attraverso le immancabili scene d’intermezzo, interattive e non, e i dialoghi tra il protagonista e gli altri personaggi durante le missioni. Black Ops II riprende ancora una volta lo stile dei film d’azione, condito da esplosioni e scene al limite della verosimiglianza (e spesso ben oltre). Il primo paio d’ore di gioco ci vede saltare avanti e indietro tra i panni di Alex e David, e il ritmo ne soffre, perché la storia è troppo frammentaria ed è difficile farsi coinvolgere dall’azione senza l’adeguata contestualizzazione narrativa. Io non ho bisogno di una storia per divertirmi con un gioco, ma una narrazione scomposta e invadente è spesso peggiore di una inesistente, e la parte iniziale di Black Ops II fatica a decollare. Tuttavia, quando finalmente il gioco segue più stabilmente David Mason nel 2025, il ritmo aumenta e si torna agli standard ai quali siamo abituati: azione adrenalinica, grandi scene coreografiche ed eventi assurdi e quasi incredibili, ma al contempo coinvolgenti e appassionanti.

I droni da combattimento rivestono un ruolo importante nella trama e nel gioco.

Una delle grandi novità della campagna per giocatore singolo di Black Ops II è rappresentata dagli incroci narrativi, che per la prima volta ci permettono di influenzare in maniera diretta l’andamento della trama. Mentre in passato tutte le scene che sembravano poter avere un esito incerto erano in realtà scritte e decise dagli autori, stavolta potremo cambiare l’andamento degli eventi, più o meno volontariamente. In alcuni casi, il fatto di trovarsi di fronte a una scelta importante sarà più evidente, mentre in molti altri questa possibilità sarà più nascosta e si prenderà quasi casualmente una strada narrativa piuttosto che un’altra, senza rendersene conto fino alla fine.

Ci sono ben sei finali differenti e ognuno di essi è il risultato di una combinazione fra tutte le scelte e tutti gli errori compiuti durante il gioco. Il risultato è ottimo, ben oltre le più rosee aspettative, e per certi versi più convincente di quanto visto in tanti giochi di ruolo. Tuttavia, questa caratteristica è una spada a doppio taglio, perché è inserita in una serie che da anni ha abituato il giocatore ad avere una libertà di azione e decisionale pressoché nulla. Il rischio è che molti affrontino Black Ops II come un Call of Duty qualunque e quindi pensino inconsciamente che, per esempio, i propri sforzi per salvare un determinato personaggio siano del tutto inutili perché l’esito è già scritto, mentre in realtà avremmo potuto cambiare il suo destino, se solo ci fossimo impegnati di più mentre lo cercavamo.

Le Strike Force sono l’altra grossa novità di questo nuovo episodio. Nel corso della campagna per un giocatore, avremo la possibilità di prendere parte a queste missioni solo apparentemente scollegate dalla storia principale: Alex Mason riveste solo il ruolo di coordinatore dal quartier generale e non parteciperà fisicamente alla missione, che sarà invece affidata a soldati e droni autonomi. L’esito delle Strike Force influenza direttamente l’andamento della campagna per un giocatore: per esempio, un successo potrebbe rendere più facile il nostro compito in una determinata area, mentre un fallimento potrebbe rinforzare i terroristi di Raul Menendez. Le Strike Force possono essere affrontate nel ruolo di coordinatore esterno, impartendo ordini alle squadre a nostra disposizione attraverso l’interfaccia apposita, oppure prendendo il controllo diretto di uno qualsiasi dei loro membri. I compiti assegnatici sono piuttosto vari e prevedono obiettivi come la difesa di una base, oppure scortare un convoglio diplomatico in una zona di guerra, ma, se affrontati in prima persona, non differiscono molto dalle normali missioni della campagna in singolo.

Purtroppo, non avendo un reale filone narrativo, si rivelano poco più di sessioni di tiro al bersaglio e mettono impietosamente in luce i limiti dell’intelligenza artificiale del gioco: rivestire un ruolo passivo e affidarsi ai propri soldati è una causa persa ed è inutile sperare che siano in grado di completare l’obiettivo senza il nostro intervento diretto. Vederli attaccare i soldati nemici senza nemmeno preoccuparsi di ripararsi dietro gli elementi dell’ambiente è desolante e vi farà perdere la pazienza in più di un’occasione; i nemici sono affetti dalla stessa deficienza, ma la superiorità numerica supplisce alla mancanza di acume tattico e d’istinto di preservazione. L’idea di base di queste missioni non è da buttare, ma la loro implementazione lascia molto a desiderare e non riescono a essere accettabili né quando giocate come uno strategico in tempo reale, né quando affrontate come un FPS come il resto del gioco.

A tratti, il motore grafico stupisce con momenti memorabili.

Forse è anche grazie (o a causa) delle missioni Strike Force che la campagna per un giocatore di Black Ops II dura di più rispetto a quelle dei suoi predecessori. Nonostante abbia trovato la parte iniziale leggermente farraginosa, il ritmo della narrazione cresce vistosamente con il progredire della storia e il gioco dona dei momenti davvero memorabili e spettacolari. Le meccaniche di gioco sono le solite, quindi saprete benissimo cosa aspettarvi, nel bene e nel male, anche se in alcune situazioni il giocatore ha una libertà di movimento e approccio tattico maggiore rispetto al passato (come per esempio durante la missione in Afghanistan con Alex Mason). Dal punto vista grafico, il motore mostra tutti i suoi limiti e alcuni dettagli lasciano davvero a desiderare (non soffermatevi a osservare l’erba, ve lo consiglio), ma è il prezzo da pagare per avere 60 frame al secondo fissi in ogni situazione e la resa estetica d’insieme riesce comunque a essere di forte impatto, grazie a un lavoro artistico e design di qualità pregevole.

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Call of Duty: Black Ops II

Treyarch | 13 Novembre 2012
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